martedì 24 agosto 2010

Senza legge a Melfi

In vista dell'Autoinformazione sul lavoro delle date 8 e 22 settembre posto questo articolo che testimonia come in questo momento in Italia ci sia davvero una guerra in atto portata avanti dai padroni nei confronti dei lavoratori.

Il Lingotto si piega a metà: i tre licenziati entrano, ma dovrebbero stare nella «saletta sindacale». Scatta la denuncia penale da parte della Fiom e si preparano altre iniziative di lotta.
La Fiat china (appena un po') la testa davanti alla legge, ma non ci pensa proprio a rispettarne la lettera; e ancor meno i diritti dei suoi dipendenti. Se qualcuno pensa che la memoria dei conflitti passati sia solo un impiccio, dovrebbe insomma studiarsi le mosse della Fiat in questa fase. Ieri ha "ammortizzato" la sentenza del tribunale del lavoro che imponeva il reintegro dei tre operai licenziati (due delegati della Fiom, più un lavoratore "semplice" ma iscritto allo stesso sindacato) accettando che i "reprobi" passassero la linea di demarcazione, ma non fino al punto di andare sulle linee per tornare al proprio posto. La controproposta aziendale infatti era semplice: i tre possono stare nella saletta sindacale (quella delle Rsu unitarie di fabbrica). Un modo di confermare quanto detto nel telegramma inviato sabato mattina ai tre dipendenti ("non intendiamo avvalerci delle vostre prestazioni", rispettando però i "doveri contrattuali" fino al 6 ottobre, data dell'udienza in cui sarà esaminato il ricorso della Fiat contro il reintegro.
Ieri era anche il giorno della riapertura dello stabilimento Sata, in questa valle battuta dal sole, con vialoni chilometrici e solo un paio di bar, ma lontanissimi dai cancelli. Per molti lavoratori c'era il problema di non essere neppure stati sufficientemente informati (sono quasi 6.000). Decine di telecamere, reflex e taccuini affollavano fin dalle prime ore lo spiazzo davanti ai tornelli. Diverse macchine dei carabinieri, una anche della polizia; e la Digos. Solo che stavolta le parti erano rovesciate: "fuorilegge" veniva annunciata l'azienda, la potente multinazionale (ex?) italiana con la testa a Detroit. A chiederne il rispetto erano invece sindacato e lavoratori. Ma nessuno rideva: quando la più grande azienda del paese mette in discussione la legge si annunciano tempi foschi.
L'incertezza su quel che l'azienda avrebbe fatto regnava sovrana, anche se le mosse possibili si riducevano a tre: respingerli come migranti fastidiosi, farli entrare fin nel reparto, farli entrare ma lasciandoli in isolamento. Nella repubblica dove le regole si piegano a seconda del peso specifico, la Fiat infine sceglieva quest'ultima.
Alle 13,15, dopo gli avvocati dell'azienda e della Fiom, è arrivato anche l'ufficiale giudiziario per notificare l'obbligo di riammetterli in fabbrica. I tre hanno atteso il secondo turno, il loro, poi hanno tirato fuori i tesserini e hanno imboccato i tornelli. Se non si fossero aperti voleva dire che l'azienda li aveva "cancellati", contravvenendo alla sentenza. "Apriti Sesamo", invece, e per un attimo partiva l'applauso, annuncio di vittoria. Prematuro. Gli addetti alla sorveglianza li invitavano a passare nel gabbiotto dei "guardioni", dove stazionavano gli ufficiali dei Cc e la dirigente Digos, oltre ai legali dell'azienda. Insieme a loro entravano anche l'vvocato Lina Grosso (in rappresentanza del collegio di parte Fiom), oltre al responsabile auto dei metalmeccanici Cgil, Enzo Masini. Un'ora e mezzo di attesa, con operai dei due turni (quelli che uscivano e quelli che dovevano entrare) a stazionare lì davanti, in una ressa molto ordinata di amministratori locali, giornalisti, ex parlamentari (Di Siena e Francesco Caruso) e lavoratori. Niente partiti, a parte Rifondazione, le cui bandiere erano però in mano a operai in divisa Sata. Veniva dichiarata un'ora di sciopero e alcuni gruppi uscivano dallo stabilimento. Poi una seconda, per non sguarnire il presidio.
Tutto questo tempo serviva a verbalizzare le rispettive posizioni in mano all'ufficiale giudiziario, con la testimonianza obbligata della forze dell'ordine. Per l'azienda il fatto di pagare lo stipendio senza farli lavorare era sufficiente a rispettare l'ordinanza del giudice. Per la Fiom - va ricordato che la causa vinta era per "comportamento antisindacale" - decisamente no. Del resto c'è un'ampia letteratura giuridica a sostegno, e persino una sentenza della Cassazione (12 dicembre 1989) che precisa come in questi casi "i diritti del lavoratore non si esauriscono con la sola retribuzione" e quindi il reintegro si concretizza nel ritorno sulla postazione di lavoro. Era stato così anche nel caso di Dante De Angelis, macchinista Fs due volte licenziato e due volte reintegrato dal giudice, cui l'azienda aveva proposto una soluzione dello stesso tipo (fare fotocopie in un ufficio lontano dai colleghi). Se vi aggiungiamo che l'idea della "newco" per Pomigliano è ricalcata pari pari sul caso alitalia, vediamo che la Fiat sta usando tutte le "innovazioni" (anche quelle non riuscite) pur di forzare la politica in chiave antisindacale.
La lista delle iniziative è a questo punto infinita. Assemblee e incontri sono continuati per tutta la giornata (l'ultima alle 21,30, quando inizia il terzo turno). E dire che questa una volta era la fabbrica più tranquilla... Ma quando la Fiat vuol fare lotta di classe, in genere muove forze insospettabili.

di Francesco Piccioni (da Il Manifesto del 24-08-2010)

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